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erano rimasti lungo la strada. Tornò ad appoggiare al
muro lo schienale della poltrona, a fissare nella vetrata la
città che s impigriva nel sole di quel primo pomeriggio...
4.
Si era già fatta notte e, dal torrente, una magra luna
invernale strappava, salendo in un cielo di chiaro fred-
do, un riverbero delle acque stagnanti che radeva,
sull opposta riva, le facciate delle vecchie case, quando
Doberdò sceso dall automobile con le braccia colme di
altri pacchi e di bottiglie, fissò quelle sacche ostili che
s illuminavano tra i fabbricati, le piazzette svelate nella
notte con il calore dei loro bucati ammucchiati. Licen-
ziato l autista, Doberdò si appoggiò alla spalletta,
nell odore d erba macerata che saliva sotto di lui e chinò
la testa per una nuova, repentina stanchezza, che passò
come un lampo freddo sull attesa che l aveva riscaldato
in tutta quella giornata e che ora, allo scoprire la finestra
della Califfa, già illuminata sul balcone, ebbe un im-
provviso cedimento.
Strinse forte i pacchi tra le braccia, e questo gli bastò
per rivedere subito con gli stessi occhi di prima il viale
deserto, e il buio del torrente dove l acqua sordamente
Letteratura italiana Einaudi 227
Alberto Bevilacqua - La califfa
tramava rumori di cui avvertì con lucidità la presenza
nostalgica in quella notte che, senza alcun altra voce o
rumore, ormai lo coinvolgeva. E allora attraversò il viale
e, salito che fu, nella stanza riscaldata, come le sue mem-
bra anche il suo sangue teneramente si spigrì e mai la
Califfa l aveva visto così, che sembrava ringiovanito di
vent anni, e la sua testa eretta si sforzava di non perdere
un che di spavaldo, con l occhio vivo e quel rossore per
le guance. Una smania di parlarle, di girarle intorno, di
toccarla, come se la vedesse quella sera per la prima vol-
ta, o fosse ritornato da un lungo viaggio.
La Califfa glielo disse che era strano, perché si erano
visti solo la sera precedente, e Doberdò a risponderle:
«Lasciami fare, se mi sento in vena, se mi sento più leg-
giero, Califfa!...».
Dovevano sentirci dalla strada  ricorda ora la Califfa
 per come noi si rideva, io, immaginiamoci, allegra an-
che più di lui, e per come si alzava la voce. E tanto fac-
ciamo che, a un certo momento, un inquilino di sopra
telefona per protestare. E allora che fa, il Doberdò, con
l allegria del vino che gli si cambia in dispetto, lui che in-
vece era sempre stato così signore? Come se non aspet-
tasse altro pretesto per dire forte quello che mi voleva
dire, gli risponde brusco che se ne ritorni a letto, e zitto.
Perché sta per comprarla lui, quella casa, e quindi gli
conviene di star zitto! E non lo ha detto per scherzo.
Mette giù il telefono, riattacca col giradischi più forte di
prima e con quella sua bella faccia mi dice che è proprio
vero che comprerà quella casa, e la intesterà a me. Così
anch io sarò proprietaria, mi fa, e verrà a viverci anche
lui, beato, fuori dalle seccature di casa sua, da tutte
quelle amarezze che se ci continua ancora un po , ci
muore.
E poi ha capito, finalmente, anche se ce n è voluto, che
certi voltafaccia della vita, quando uno ha la fortuna di
averli, bisogna accettarli e basta. Non la penso anch io
Letteratura italiana Einaudi 228
Alberto Bevilacqua - La califfa
così? Non sono stata forse io, mi dice, a insegnargli che,
in certi casi, non c è niente da fare; perché è così e ba-
sta?... Io son rimasta senza parola. E che potevo rispon-
dergli? È il vino, gli faccio, vada là che è il vino, e poi io
sono quella che sono, cosa crede che non mi veda?, una
povera ragazza e figuriamoci se meriterei tanto. Io, con
tutta l importanza sua, la sua posizione... Non mi lascia
finire.
Ma che povera ragazza, andiamo. Mi fa capire che
queste umiltà non ho più il diritto di tirarmele addosso,
basta, che povera ragazza se adesso ho tutto quello che
voglio, e ci sta lui con me! Bisogna che cambi, che impa-
ri a darmi importanza anche quando siamo insieme, se
no potrebbe pensare che non ho capito niente e conti-
nuo a non capire, e allora addio... Insomma, con tutti
quei discorsi mi fa girare la testa. E, come una mummia,
lascio che mi baci, che mi tiri a sé, che mi ripeta che è
ora che mi consideri una signora, e magari la sua signo-
ra. Sì, perché, cosa c è di male? Poveruomo, che tene-
rezza a vederlo con quegli occhi lucidi, quella voglia di
vedermi contenta. E forse diceva la verità, dal bene che [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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